La Valle di Scalve

La Valle di Scalve, situata nella parte nord-orientale della Provincia di Bergamo e confinante con le province di Brescia e di Sondrio, si estende per una larghezza di 19 Km tra una cerchia di montagne prealpine fra le cui cime spiccano il Massiccio della Presolana (m. 2521), il Pizzo Tornello (m. 2687), il Cimon della Bagozza (m. 2409) ed il Pizzo Camino (m. 2492) e ha origini antichissime: il nome “Scalve” pare che derivi dal termine celtico “Skalf” che significava “fessura” e che le era stato attribuito dagli antichi Camuni qualche migliaio di anni fa.  Tutto potrebbe essere ricondotto a due significati diversi: la profonda fessura scavata nella roccia dallo scorrere del fiume Dezzo, oppure l’attività di scavo delle numerose miniere che fin dai tempi remoti  ha caratterizzato la vita e la storia della Valle. I Romani che sfruttarono le numerose miniere locali di ferro  cambiarono il nome della Valle di Scalve in “Valle Decia”,  perché solcata dal fiume Dezzo, ma al termine della dominazione romana la Valle ritornò ad essere chiamata “Valle di Scalve”.  Esistono leggende con riferimento ad epoche lontane che narrano di una battaglia che vide la sconfitta del popolo degli Alani ad opera dei Romani (o in un'altra versione per mano di Carlo Magno) nella zona della Presolana, il cui nome deriverebbe appunto dall’aver “preso Alano”. Si racconta  di un immenso eccidio, tanto che alla valle in cui accaddero questi scontri e prima chiamata Valle Decia, venne cambiato nome in Calve (l'attuale Valle di Scalve) a causa delle “calvarie” lasciate dalla carneficina. Pare che la colonizzazione avvenuta ad opera degli antichi camuni  trovasse giustificazione nell’interesse per l’abbondanza di pascoli e foreste che ricoprivano gran parte del territorio. La  piccola Valle è interamente percorsa dalla Strada Statale 294 che parte da Darfo Boario Terme in Valle Camonica  e costeggiando il corso del fiume Dezzo arriva fino al Passo del Vivione, chiuso nella stagione invernale, da dove è poi possibile scendere nel territorio di Paisco Loveno, situato in una valle laterale del territorio bresciano. Il tratto di strada che da Angolo Terme raggiunge la Valle di Scalve, lungo una decina di chilometri, è denominato “Via Mala” ed una parte di esso è stata scavata nella viva roccia di una gola scavata nei secoli  dallo scorrere impetuoso Fiume Dezzo. Questa strada venne realizzata nel XIX secolo: il primo progetto per la realizzazione della Via Mala risale al 1838, ma fu solo nel 1857 che venne approvato un secondo progetto per la realizzazione dell’opera, inaugurata nel 1866. La forra  molto profonda e stretta, incisa dal passaggio del fiume, caratterizzò il percorso del tracciato stradale, sviluppando agevolmente le possibilità di comunicazione con la Valle Camonica. Il nome “via Mala” deriva da affinità morfologiche con la strada altrettanto famosa del cantone svizzero dei Grigioni, caratterizzata da impetuose cascate e da vertiginosi precipizi: anche lì, soprattutto durante i periodi invernali, il transito era condizionato  dal pericolo di caduta massi e valanghe. Negli ultimi decenni sono stati portati a termine molti interventi di messa in sicurezza, abbandonando i tratti più suggestivi e pericolosi. Alla valle si accede anche da Borno con la S.P. 59 che porta nuovamente in Val Camonica,  e dal Passo della Presolana con la S.S. 671 che conduce in Val Seriana. Con la dominazione del Sacro Romano Impero guidato da Carlo Magno, la piccola Valle nel 774 fu donata ai monaci di Tours, che con alcune permute ne passarono la proprietà al vescovo di Bergamo. Nel 1179  lo stesso vescovo concesse agli scalvini la libertà di ricerca mineraria  e di estrazione dei metalli ferrosi: furono proprio le sue risorse minerarie, oltre al difficile accesso ai suoi territori, ad assicurare una sostanziale autonomia alla Valle di Scalve con propri Podestà residenti in zona. Il Vescovo trasformò la valle in un feudo e nel 1231 la Comunità di Scalve, fondata sull’aggregazione delle principali famiglie locali denominate “vicinie”, acquistò l’intero territorio, organizzandosi per deliberare su interessi comuni e per amministrare la giustizia in maniera autonoma, dotandosi anche  di propri Statuti. La Valle di Scalve pose lo sfruttamento del proprio patrimonio minerario e boschivo alla base dell’economia locale: la produzione del carbone vegetale permise la lavorazione del minerale di ferro che, trasformato in lingotti, poteva essere più agevolmente trasportato fuori Valle a dorso di animali.  Nel 1428 la Comunità di Scalve accettò di buon grado l’annessione alla Repubblica di Venezia, garantendo lealtà e fedeltà, e ottenendo  come ricompensa una grande autonomia amministrativa e l'esenzione dalla milizia. Le concessioni ottenute furono parecchie e di notevole rilievo e riguardarono anche  l’esenzione dai dazi, che fu ottenuta evidenziando lo sfavore delle condizioni climatiche e l’avversità del terreno montano. Soltanto nel 1797, con la fine della Serenissima e l’avvento della Repubblica Cisalpina, la comunità venne di fatto smembrata ponendo fine ad un’autonomia millenaria, ed i borghi principali acquisirono la propria autonomia comunale. L’attività estrattiva subì una grave crisi e tutta l’economia locale, insieme all’incremento demografico, registrò un notevole tracollo. Successive modifiche, operate dai vari regimi che si susseguivano nella valle, cambiarono i confini territoriali ma non intaccarono l’autonomia comunale dei paesi. Con il dominio austriaco nella zona del Lombardo-Veneto, la concorrenza del materiale ferroso proveniente da altre regioni dell'Impero diede il colpo definitivo all'economia scalvina, dando inizio all’esodo della popolazione. Il fenomeno dell’emigrazione, anche oltre oceano, fu massiccio e il numero degli scalvini emigranti in cerca di lavoro fu elevato. Un risveglio momentaneo dell'economia si attuò in concomitanza con le due guerre mondiali per l’accresciuta richiesta di metallo destinato agli strumenti bellici, e una buona parte del ferro continuò a essere lavorata direttamente in Val di Scalve, nei forni fusori alimentati dal carbone vegetale ottenuto dalla legna e  prodotto localmente. Il trasporto del materiale lavorato venne facilitato con l'apertura della via geograficamente più naturale: la Via Mala, aperta nel 1866 lungo il corso del fiume Dezzo. Negli anni venti un'ennesima chiusura delle miniere provocò nuovi esodi, anche se la costruzione dell’imponente diga del Gleno incrementò per alcuni anni il livello occupazionale locale. Proprio al termine della realizzazione, effettuata con ignobili speculazioni sui materiali da costruzione, la Valle fu duramente colpita dall’immane tragedia del crollo della diga colma di acqua,  avvenuto il 1 dicembre 1923, che distrusse intere frazioni portando morte e devastazione  anche in Valle Camonica, dove si riversò la furia omicida dell’immensa massa d’acqua.  Nel 1937 si ebbe una nuova riapertura delle miniere ad opera di grandi società siderurgiche italiane (Breda, Falck, Ferromin) ma con la grave crisi economica del dopoguerra  la chiusura delle miniere si profilò all’orizzonte, diventando definitiva negli anni 60 e 70,  e culminando pochi anni dopo con la chiusura delle miniere di fluorite della Presolana.

La Valle di Scalve è composta attualmente da quattro comuni:

AZZONE che pare essere il più antico insediamento della Valle e possiede una parte notevole del Parco del Giovetto;

COLERE che divenne comune solo nel 1946, grazie alla determinazione degli abitanti che si riappropriarono dei documenti cartacei spostati a Dezzo dal regime di guerra;

SCHILPARIO arricchito da una pineta stupenda e ricca in passato di miniere importanti;

VILMINORE, posto nel centro geografico della Valle, ospitò un'antichissima Pieve che era il fulcro della vita religiosa scalvina e vanta il prestigioso Palazzo Pretorio, sede dell'Antica Repubblica di Scalve.

 

 Sotto una raccolta di fotocartoline storiche della Via Mala

(si ringrazia Vilma Morandi per aver messo a disposizione la sua preziosa collezione)
(click sulle foto per ingrandirle e vederle in slideshow)

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